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Giuseppe Gambino Un artista alla Bevilacqua La Masa

Giuseppe Gambino Un artista alla Bevilacqua La Masa

di Stefano Cecchetto

 

Ci sono artisti che non amano parlare di se stessi, ma preferiscono raccontarsi  attraverso l’opera, è il caso di Giuseppe Gambino che riesce a svelare con la pittura tutti i ricordi e le percezioni emotive della sua ricerca interiore.

Viene quindi lasciata allo spettatore la ricognizione di un vissuto che appartiene all’universo delle immagini e che comprende l’infanzia, la giovinezza, gli amori e le passioni di una vita specchiata nell’opera.

Giuseppe Gambino partecipa per la prima volta alle mostre collettive, di quella che allora si chiamava ‘Opera Bevilacqua La Masa’, nel 1954 presentando un dipinto dal titolo: Amanti di periferia. Il 1954 è anche l’anno del suo arrivo a Venezia – la città della luce – che in seguito diventerà il luogo della sua permanenza e il soggetto basilare di numerosi dipinti.

La riconferma avviene soltanto un anno dopo, con la presenza alla 43a Collettiva dove l’artista espone due opere: Natura morta e Trittico con le quali vince – a soli ventisette anni – due Premi Acquisto.

Nel clima di un Paese che emerge dalla catastrofe del secondo conflitto bellico, anche la pittura è un viatico di rinascita e Venezia diventa il centro bipolare di una confluenza che mette in luce relazioni e sinergie tra gli artisti, le istituzioni e le gallerie.

Gambino cavalca il fervore di quegli anni e già nel 1956 è invitato alla XXVIII edizione della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia.

Nello stesso anno e poi nel 1957, l’artista conferma la sua presenza alle mostre della Bevilacqua ed espone tre opere alla 44a collettiva: Paesaggio a Venezia, Figure e una Natura morta con la quale vince il 2° Premio ex aequo. Mentre alla 45a presenta: Case in campo Santa Margherita e Palazzo sul Canal Grande con il quale vince il 1° Premio ex aequo dell’Opera Bevilacqua La Masa.

La Galleria di Piazza San Marco diventa quasi un appuntamento obbligato che Gambino frequenta mantenendo costante la qualità delle opere e lo slancio dettato dalla passione per quello che ormai è diventato il suo ‘mestiere’, la sua scelta di vita.

Sarà ancora e sempre la pittura, unicamente la pittura – questo astratto campo degli infiniti possibili –  in cui l’artista, come ogni uomo, continuerà a scavare per esprimersi, facendone il laborioso sostegno, la trama segreta della sua storia personale e professionale.

Tra la fine degli anni Cinquanta e nel decennio successivo, l’anima pittorica di Gambino è ormai lanciata alla conquista delle apparenze sensibili e anela a coglierne il nocciolo profondo attraverso l’inesauribile estro descrittivo. È nel variare dei paesaggi, nelle continue metamorfosi dell’atmosfera coloristica, nei giochi molteplici della prospettiva, che l’artista si rinnova pur rimanendo fedele a se stesso.

L’ideale romantico della pittura di Gambino resta impresso nelle asperità della luce e si palesa soprattutto nelle presenze indefinite di quelle ‘facciate veneziane’ dove il colore trascende la figurazione fino ad occultarne il realismo per lasciare spazio alla visione.

D’ora in poi, gli elementi del suo linguaggio possono considerarsi definiti, l’impaginatura del quadro, per quanto varia possa diventare la scelta degli ingredienti compositivi, avrà ormai trovato la strada maestra di un’identità riconosciuta e riconoscibile. In quell’identità, le apparenze fuorvianti sono ormai scongiurate, e la

freschezza pittorica è rivelata attraverso una lenta meditazione e filtrata attraverso una severa esperienza selettiva.

Ogni dipinto rimane quindi un ‘sogno austero’ che svela il viatico di una forza rinnovabile e la pittura diventa per Gambino lo strumento per cui senza sforzo, senza ingombranti controlli veristici, anzi, con una costante poetica interiore, materia e colore si fondono all’unisono. A questa radice bisogna dunque rifarsi, al gesto naturale di Gambino, così nettamente inconfondibile e distinto da quello degli altri pittori suoi contemporanei.

Saranno quindi i paesaggi spagnoli, le facciate dei palazzi veneziani, i ritratti e le figure che l’artista estrapola dal vissuto quotidiano a definire i temi di una realtà naturale e contingente plasmata dentro a un’armonia prestabilita, filtrata e dissolta in pochi, essenziali elementi compositivi.

In questa mostra antologica, dentro all’omaggio che la Fondazione Bevilacqua La Masa ha voluto riservare a uno dei suoi artisti ‘storici’, c’è tutto il cammino di un lavoro segnato dal tempo del suo inconfondibile trascorso.

La visione generale ne risulta in qualche modo rarefatta, in quanto si è deciso di procedere per ‘emblemi’, ma rimane inalterato il senso di un procedere che va dalle prime Nature morte degli anni Cinquanta – misteriose e inquiete – fino alla fragranza coloristica delle facciate veneziane e all’esplosione luminista dei suoi paesaggi spagnoli.

Altrove, la luce trascolora nell’ambientazione di quelle Figure, allungate ed emaciate, quasi sempre risolte in una leggera obliquità e che vivono ormai in quella fissità perenne che accentua il senso di un’umanità gentile.

Certo, il pittore racconta le storie che la memoria tramanda e la fantasia reinventa, ma nello stesso tempo egli dichiara la sua appartenenza al quotidiano e all’incessante biografia dell’esistenza.

Perché l’uomo sovrasta l’artista e nello stesso tempo ne è sovrastato.

 

Testo scritto in occasione della mostra: Omaggio a Giuseppe Gambino. Opere, 1944-1996. Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa, 28 gennaio – 25 febbraio 2018.

 

 

12:16 , 4 Febbraio 2018 Commenti disabilitati su Giuseppe Gambino Un artista alla Bevilacqua La Masa